L’Impianto di riscaldamento radiante. Quale scegliere?

Con qualche anno di ritardo rispetto all’Europa centro-settentrionale questa tipologia di impianti di riscaldamento comincia ad essere diffusa anche alle nostre latitudini, ma spesso presenta alcuni problemi dovuti anche alla scarsa conoscenza da parte dell’utenza. Con questo articolo cercherò di colmare la lacuna.

Partiamo da alcuni concetti base di fisica tecnica.

La trasmissione del calore avviene sempre dal corpo più caldo a quello più freddo e secondo tre modalità: conduzione, convezione, irraggiamento (lontano ricordo del liceo scientifico o di alcune facoltà universitarie). Nel caso di un impianto di riscaldamento il corpo più caldo è il corpo scaldante in ambiente (il termosifone per capirci) e il corpo più freddo è l’aria ambiente. Lo scambio avviene fino a quando si raggiunge un equilibrio tra le temperature dei due corpi o, nel caso del riscaldamento domestico, quando si raggiunge la temperatura impostata sul termostato (generalmente 20°C). Nello scambio coesistono tutte e tre le modalità di trasmissione del calore ma, a seconda del tipo di impianto scelto, una delle tre prevale sulle altre. E’ così che con un radiatore avrò una componente prevalentemente convettiva coadiuvata da una parte radiante mentre, con un ventilconvettore (detto anche fan-coil) avrò una netta prevalenza della parte convettiva e componenti trascurabili delle altre due. Con un riscaldamento radiante invece avrò la prevalenza della componente di irraggiamento, con quote irrilevanti delle altre due.

Ed ecco il principale vantaggio di questa tipologia di impianti. L’assenza di moti convettivi in ambiente (cioè il fatto che non si ha il movimento dell’aria che, calda, sale verso l’altro e, raffreddatasi, scende verso il basso) significa che non vengono distribuite e fatte circolare tutte quelle particelle che troviamo in sospensione nell’aria degli ambienti chiusi, e che possono entrare nel nostro corpo, per inalazione, ingestione o contatto (edificio malato? no grazie!). Polvere, pollini e particelle portate dall’esterno, capelli, particelle organiche da desquamazione della pelle, forfora, pelo di animali domestici, fumo di sigaretta, grassi ed emissioni dalla cottura dei cibi, emissioni dall’impiego di detersivi, solventi e altre sostanze contenute negli arredi, nelle pitture murali, nelle finiture del parquet, ecc…. (i cosiddetti VOC).

 

I moti convettivi in ambiente non si generano perché la temperatura della superficie radiante non può superare i 29°C (per normativa) e quindi non riesce a cambiare la densità, e quindi il peso, dell’aria facendola salire in alto e poi scendere verso il basso, ma la lascia inalterata e quindi stabile. Questo comporta una migliore distribuzione delle temperature, con maggiore comfort per le persone, e un risparmio energetico consistente perché si va a riscaldare solo il volume in cui vive la persona, lasciando al freddo i ragni!

La bassa temperatura della superficie radiante è la risposta alla principale obiezione che viene fatta a questo tipo di impianti, come “pericolosi” per l’apparato circolatorio delle gambe, memori delle esperienze fatte negli anni Sessanta e Settanta in cui però le temperature di mandata dell’acqua erano di 70°C (come quelle a cui lavorano i radiatori). Ma cosa è cambiato rispetto a quegli anni? L’innovazione è stata quella di mettere uno strato di isolante termico sotto le tubazioni in cui circola l’acqua calda, facendo in modo che l’impianto riscaldasse solo una unità immobiliare (attraverso il pavimento ad esempio) e non due unità come accadeva prima, quando i tubi erano affogati nella struttura del solaio che divideva due appartamenti (quello soprastante e quello sottostante).

Ma vediamo com’è fatto un impianto di riscaldamento radiante.

Tralasciando per un attimo la tipologia di caldaia che meglio si abbina ad esso, la caldaia a condensazione a cui dedicherò un post specifico, un impianto radiante è costituito, nella sua versione a pavimento, la più diffusa, da una rete di distribuzione del fluido vettore termico (acqua calda) disposta a serpentina, su uno strato di materiale isolante termico e affogata in un getto di calcestruzzo speciale. L’acqua calda che viene fatta circolare nelle serpentine riscalda il massetto in cemento che diventa il corpo scaldante dell’ambiente. Quindi, invece di un radiatore, tipicamente sotto la finestra, a scaldarmi la stanza ho tutta la superficie del pavimento. Questo mi permette di lavorare con temperature dell’acqua più basse, con conseguente risparmio di energia e minori emissioni in atmosfera.

Le serpentine sono fatte da circuiti unici, senza giunzioni, che partono e ritornano tutte da un collettore di distribuzione incassato a muro in una zona non visibile dell’unità immobiliare e, possibilmente, in posizione baricentrica rispetto ad essa. Il tubo che si stende per fare le serpentine è generalmente in materiale plastico (polietilene reticolato) ma può essere anche in rame (ha una maggiore conducibilità termica ma anche un maggior costo). L’isolante termico sotto la serpentina è generalmente polistirene ma può essere anche sughero o fibra di legno. Gli spessori dell’isolante e il diametro del tubo, oltre al “passo” (distanza tra i tubi della serpentina) è determinato dal calcolo termotecnico che tiene conto delle dispersioni dell’edificio, degli apporti gratuiti e delle temperature che si vogliono ottenere. Generalmente un impianto radiante ha una resa al mq di 80/100 Watt e quindi non è adatto ad edifici con troppe dispersioni termiche, a meno che non lo si integri con porzioni a parete o altri corpi scaldanti.

Un impianto radiante può essere a pavimento, a parete o a soffitto e la scelta dipende dalle specifiche contingenze. Ad esempio, se devo consolidare il solaio di calpestio e rifare i pavimenti posso prendere in considerazione la soluzione a pavimento. Se ho dei pavimenti di pregio posso valutare quella a soffitto, con l’avvertenza che, generalmente, le rese sono garantite fino ai 3,5 m di altezza. Se ho ambienti molto vasti posso fare dei tratti a parete per eliminare le dispersioni dai muri e migliorare il comfort in ambiente, grazie ad una idonea temperatura operante.

La temperatura operante è la grandezza di riferimento per valutare il comfort di un ambiente ed è ottenuta calcolando la media tra la temperatura dell’aria e le temperature degli elementi che delimitano l’ambiente (pareti, soffitto, pavimento, finestre ecc…) ponderate sulle rispettive superfici. Per capire meglio in concetto basti pensare che spesso ho 20°C in ambiente ma ho le pareti esterne che sono a 16°C e quindi il mio corpo tende a scambiare calore con esse, generando una sensazione di discomfort. Lo stesso può accadere con il pavimento freddo o le finestre, se non hanno il vetrocamera o il telaio a taglio termico…. Quanto più alta è la temperatura delle superfici che delimitano il mio ambiente tanto minori saranno i miei scambi termici con esse e tanto maggiore sarà il mio comfort. Con il riscaldamento radiante ho una migliore distribuzione delle temperature, oltre che nell’ambiente, anche sulle superfici che lo delimitano.

Un impianto radiante può climatizzare un ambiente in inverno (riscaldamento) e in estate (raffrescamento) facendo circolare nelle serpentine fluido caldo o freddo, con alcuni accorgimenti in estate dovuti alla necessità di deumidificare per evitare la formazione di condensa sulle tubazioni annegate nel massetto o nell’intonaco del soffitto.

 

Negli ultimi anni le aziende produttrici hanno sviluppato e immesso sul mercato soluzioni a basso spessore che possono essere installate su pavimenti esistenti (con spessori totali di ingombro fino a un minimo di 18 mm + il nuovo pavimento), sistemi a secco per interventi più rapidi, puliti e con minor carico sulle strutture esistenti, oltre a sistemi “prefabbricati” e modulari per installazioni a soffitto o a parete composti da pannelli sandwich che comprendono l’isolante, la serpentina e la finitura (cartongesso), da posare e collegare in serie mediante appositi connettori.

 

Un particolare riguardo meritano i sistemi capillari, che ultimamente stanno vivendo una grande espansione, perché lavorano con temperature di mandata molto basse (28°C per il riscaldamento e 18°C per il raffrescamento), con evidenti vantaggi in termini di efficienza energetica della centrale termica. Essendo prevalentemente a soffitto, affogati nello spessore dell’ intonaco (1,5 cm) e avendo una sezione ridotta dei tubi (2,5 mm di diametro) con un ridotto contenuto di acqua, raggiungono velocemente la temperatura di regime e possono essere anche condotti ad intermittenza anziché in continuo.

Questo riduce la principale criticità di questi sistemi, dovuta al gap “culturale” dell’utenza e alla non sufficiente e corretta informazione da parte degli operatori del settore. Abituate infatti ad accendere il riscaldamento in alcune ore della giornata e tenerlo spento in altre (conduzione intermittente) le persone hanno difficoltà ad accettare il fatto che un impianto radiante debba restare sempre “acceso” perché lavora sull’inerzia del cassetto che deve rimanere caldo e, se si raffredda, necessita di molte ore per tornare alla temperatura di regime. In realtà, una volta portato il massetto alla temperatura di progetto, l’impianto si spegne per riaccendersi appena il cassetto parie qualche grado e riportarlo in temperatura in pochi minuti. Quindi è un sistema efficiente con bassi consumi ma in contraddizione apparente con il fatto che “resta sempre acceso”. Il risultato è che gli utenti, se non bene educati a questo sistema, agiscono continuamente sui termostati ambiente per abbassare o alzare le temperature (nei termostati digitali indicate anche con i decimali di °C) mandando in crisi il sistema di regolazione e ottenendo il malfunzionamento dell’impianto che, avendo un’elevata inerzia termica, ha tempi di reazione lenti che non corrispondono alle aspettative degli utenti, abituati prevalentemente ai sistemi a radiatori. Il risultato? chiamano l’architetto che gli ha consigliato questo sistema innovativo, che però “non funziona”!!

Pertanto, il consiglio più grande che mi sento di dare, a difesa della categoria, è quello di documentarsi al meglio prima di scegliere un sistema radiante, che è comunque il migliore in termini di efficienza e comfort, e di affidarsi al professionista e alle ditte produttrici e installatrici giuste, che sappiano valutare la compatibilità con il tipo di edificio e la tipologia di lavori prevista, progettando il migliore impianto possibile per la specifica situazione. Diffidare di chi propone ricette preconfezionate e standard perché sono ad alto rischio di insuccesso, soprattutto per gli interventi in edifici esistenti.

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