Da qualche tempo, sempre di più, si sente parlare di costruzioni “a secco”. Se ne parla non solo tra i professionisti delle costruzioni ma anche tra i non addetti ai lavori, nei contesti generalisti tra i più vari.
Per sistemi costruttivi a secco si intendono tutte quelle tecnologie che prevedono l’assemblaggio di componenti, strutturali e non, realizzato mediante giunzioni di tipo meccanico (viti, chiodi, incastri, perni, saldature, bulloni ecc…) senza l’impiego di materiali “bagnati”, come getti, impasti, malte o altro che necessiti di un periodo di essiccazione, presa e maturazione.
I fissaggi a secco sono, nella maggior parte dei casi, reversibili. Cioè prevedono che uno stesso giunto tra due componenti possa essere realizzato e rimosso più volte. Tipicamente una connessione realizzata tramite viti può essere svitata e riavvitata per un certo numero di volte consecutive.
I sistemi a secco, generalmente, prevedono l’impiego di materiali leggeri e di dimensioni e forme tali da poter essere facilmente movimentati dal personale di cantiere. Si tratta per lo più di elementi lineari (assi, pilastri, travi…), piani e rigidi (pannelli, lastre…), flessibili e morbidi (materassini, film e pellicole…) che vengono assemblati secondo precisi schemi di montaggio per formare strutture portanti, stratigrafie di involucro, tamponamenti opachi e/o trasparenti, vani ispezionabili per il passaggio degli impianti. A questi si aggiungono i componenti industrializzati come i serramenti, le porte, gli apparecchi sanitari, i terminali dell’impianto di climatizzazione, ecc…
Oggi i sistemi a secco sono identificati con le costruzioni in legno, complice la sovraesposizione mediatica dovuta agli eventi sismici che ha portato alla ribalta questa tecnologia e questo materiale per le loro alte prestazioni antisismiche, dovute ad alcune loro caratteristiche peculiari, come la leggerezza e l’elasticità, in grado di dissipare l’onda sismica senza riportare danni permanenti. Molto significativo in questo senso il test realizzato dal CNR – IVALSA di San Michele all’Adige (TN) su un edificio in legno, alto 7 piani, sottoposto alla simulazione del sisma che colpi Kobe nel 1995, visibile su YouTube cercando “progetto Sofie”. progetto Sofie
Tuttavia di sistemi a secco ne possiamo classificare molti altri, che vanno dalla carpenteria metallica, con elementi in acciaio profilati (a freddo o a caldo), assemblati mediante saldature e/o imbullonate, ai sistemi in cartongesso o gessofibra, ai pannelli sandwich in lamiera stampata con interposta iniezione di schiume poliuretaniche, ai sistemi in policarbonato alveolare, ad alcune applicazioni del vetro, anche strutturale, passando per tutte le forme miste date dalle possibili combinazioni di questi.
Senza entrare nel dettaglio dei singoli sistemi costruttivi, a cui dedicherò post specifici in futuro, mi vorrei soffermare sui vantaggi che essi presentano rispetto ai sistemi costruttivi convenzionali basati sulle lavorazioni “bagnate”.
Tutti questi valori positivi non sono ancora sufficienti per superare la diffidenza del pubblico di massa verso i sistemi prefabbricati, ancora identificati con la scarsa qualità, retaggio delle esperienze di prefabbricazione pesante degli anni del boom edilizio nel secondo Dopoguerra.
E’ quella che amo definire come “sindrome dei tre porcellini”, che porta a considerare più solida, sicura e affidabile una casa di mattoni rispetto ad una di paglia o di legno. Ebbene oggi sono maturi i tempi per ribaltare completamente la prospettiva, dato che è ampiamente dimostrata la superiorità di tecnologie basate sull’impiego del legno e anche della paglia!
Il lupo che insidia le nostre case oggi assume diverse sembianze, dal terremoto agli eventi climatici catastrofici, e la risposta migliore non la danno più gli edifici “pesanti”. È tempo di riscrivere la storia e intitolarla “I tre porcellini reloaded”. Ma questo nel prossimo post.